sguardi

La prima immagine è un quadro.
La seconda una fotografia.

Il primo è Giorgio Morandi.
Il secondo Luigi Ghirri.

Morandi scompone in colori e superfici la bellezza di una realtà semplice e quotidiana; Ghirri in luce. La foto, scattata nello studio di Morandi, anche se indubbiamente ha delle qualità pittoriche, non cerca di imitare il quadro, piuttosto coglie l'essenza profonda della ricerca e della poetica dell'artista, vibra in sintonia, partecipa di una visone comune delle cose. Se il quadro cancella ogni riferimento ad un contesto che distrarrebbe dal processo di astrazione, la fotografia, con quel pezzetto di sedia proprio nell'angolo, costruisce di colpo intorno a noi l'intera stanza. Ci racconta di un ambiente essenziale, avvolto dalla luce naturale, ci lascia liberi di immaginare la presenza di Morandi che siede in qualche punto a preparare la tela, che fissa gli oggetti sul tavolo, anche se sappiamo che all'epoca di questa foto, Morandi era già morto.

Chi crede che la fotografia riporti la realtà così com'è, si ritrova tra le mani una macchina che non può far altro che registrare. Chi invece si abbandona all'evidenza che non può far altro che mostrare il mondo come solo i propri occhi possono fare, stringe una tavolozza non docile che a volte racconta, a volte illude, spesso mente e che, nel ricorrere dei soggetti e delle inquadrature, ritrae sopratutto chi fotografa, lasciando sfuggire anche più di quanto non si vorrebbe rivelare.

L'arte è raramente in un soggetto spettacolare, quasi mai nella perfezione tecnica, spesso invece, si solidifica nella tensione di voler comunicare qualcosa che gli altri non vedono.